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AGOSTINO LA FRANCA, QUANDO IL CALCIO ERA UN’ALTRA COSA…

UN’INTERVISTA OSPITATA SU TERMINAL SPORT NEL LUGLIO DEL 2013…

di Salvino CAVALLARO

(una foto recente di Agostino La Franca, assieme al nostro dott. Carmelo D’Agostino, in occasione del Premio TERMINAL 2014 a lui assegnato)

la franca dueCapita a volte di rifugiarsi nei ricordi e di inondarsi di romanticismo, soprattutto quando il presente non dà speranza per il futuro. Conquiste e vittorie anche umili del passato, assumono connotazioni che s’ingrandiscono forse a dismisura. E’ l’amarezza di un pallone che non c’è più, una malinconica discesa nel mondo dei dilettanti che mortifica la storia del calcio milazzese. E così, quasi per caso, mi ritrovo a parlare del Milazzo che fu tra gli anni 1957 e 1963. Il mio interlocutore è l’ex calciatore del Milazzo Agostino La Franca, grande centromediano metodista di quella squadra rossoblu che, pur partecipando a campionati di Promozione, segnò la storia di una Milazzo povera ma ricca di orgoglio e passione per il pallone giocato tra le mura antiche del glorioso stadio “Grotta Polifemo”. Sono ospite a casa di La Franca, invitato ad assistere alla partita di Confederations Cup Italia – Uruguay, valevole per la conquista del terzo posto. E’ il pretesto per parlare di calcio a 360 gradi, divagando tra pareri tecnici e tattici verso una nazionale azzurra che non ha convinto appieno e che suscita pareri negativi contro Prandelli, capaci di farci diventare tutti Commissari Tecnici improvvisati. E’ la bellezza del calcio che conquista tutti proprio per la sua opinabilità. Ma i commenti di Agostino La Franca sono competenti, mirati, lungimiranti di chi il calcio l’ha vissuto e praticato in lungo e in largo, conoscendo tattiche, allenatori, calciatori e situazioni calcistiche giocate che hanno arricchito il suo lungo corso di calciatore dilettante, serio e attaccato affettivamente ai colori rossoblu delle aquile milazzesi. “Era un calcio diverso, povero di soldi ma ricco di qualità. Io ho sempre giocato in Promozione, ma non mi sento inferiore a chi ha conosciuto categorie superiori. La differenza era data dallo stipendio. Ricordo che aspettavo 10 mila lire come fosse manna dal cielo e, qualche volta, non arrivavano neppure” dice Agostino La Franca. Ma Milazzo gli è rimasta nel cuore perché, anche se palermitano di nascita, quando ha appeso le fatidiche scarpe al chiodo, è voluto rimanere in questa città assieme alla sua famiglia. Da poco tempo è stato colpito da un grave lutto; sua moglie, infatti, è deceduta dopo lunga malattia. Un pezzo di storia affettiva che se ne va, un percorso di vita insieme che va ad aumentare i trascorsi di un bellissimo passato personale. E adesso la sua casa pullula di ricordi, le pareti delle stanze trasudano di malinconici pensieri sul tempo che scorre via velocemente senza tregua alcuna, capace com’è di metterti di fronte a una realtà colma di fragile solitudine. Scorrono intanto le immagini televisive della nazionale italiana. Maggio, Montolivo, Chiellini, Gilardino, De Rossi, sono visibilmente stanchi e non offrono uno spettacolo degno dell’importanza dell’incontro. La Franca capisce, ma commenta con una punta d’amarezza rivolta a un calcio che, pur con tutte le attenuanti della stanchezza fisica, non diverte. E così, alla fine del primo tempo, insoddisfatto di assistere a una partita incolore e senza emozioni, mi fa vedere le vecchie fotografie di quando giocava. Ricordi in bianco e nero sparsi qua e là per il tavolo in maniera disordinata, ma capaci di emozionarti nonostante l’ingiallimento che è testimone dell’oltre mezzo secolo volato via inesorabilmente. Tanti i ricordi sul campo polveroso del Grotta Polifemo, tanti i compagni che oggi non ci sono più e che hanno rappresentato quel calcio milazzese fatto di valori, di amicizia vera, dentro e fuori dal rettangolo di gioco. I pali delle porte erano quadrati, la polvere s’infiltrava malignamente nei polmoni, il pallone pesava quanto un macigno, ma la tecnica, il gioco di squadra, il gol e il senso d’appartenenza alla gloriosa società mamertina, erano i veri testimoni di un pallone che esaltava i sentimenti. “Vedi Salvino”, mi dice La Franca con smisurato orgoglio, “guarda i muscoli delle mie gambe, sono ancora sodi e testimoni della mia lunga attività di calciatore. Una passione viscerale partita con me da Palermo e proseguita poi per buona parte della Sicilia, prima d’approdare a Milazzo”. E intanto continua il lungo ma piacevole racconto della dietrologia del calcio milazzese che non c’è più. La partita dell’Italia contro l’Uruguay termina in parità. Si disputano i tempi supplementari e poi i calci di rigore. Questa volta, al contrario della partita contro la Spagna, l’Italia vince e conquista la terza posizione della Confederations Cup. Tuttavia, sembra smorzato l’entusiasmo per una vittoria italiana che sa più di recriminazioni su quello che avrebbe potuto essere e non è stato, piuttosto che di voglia di gioire. Agostino La Franca è consapevole di questo. In fondo il ricordo della Milazzo del pallone che oggi non c’è più, è stato sicuramente più bello, romantico e pieno di motivazioni, rispetto a una vittoria azzurra che sa più di rimpianto che di gloria. Già, più rimpianto che gloria; ma non è la storia recente del Milazzo Calcio?

Salvino Cavallaro

 

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