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C’era una volta MUNZUEDDU

COSI’ VENIVA SOPRANNOMINATO DON MICO OTERI, MASSIMA ESPRESSIONE DELLA GASTRONOMIA IN ANNI ORMAI CONSEGNATI ALLA STORIA DI MILAZZO. RIMANGONO IN POCHI QUELLI CHE HANNO GUSTATO LE SUE SPECIALITA’…

Al posto dove un tempo, tanti anni fa, c’era una vecchia rosticceria, troviamo oggi LA GUSTOSA, con la simpatia e la cordialità di Ciccio Arrigo che ci delizia con le sue specialità gastronomiche. Prima, e fino alla fine degli anni 90, lo stesso locale fu per un trentennio il luogo dove Pippo Sindoni ebbe la geniale intuizione di riproporre alle nuove generazioni le vecchie creazioni del suocero, Domenico Oteri.

Un balzo indietro di tanti anni, riscoprendo sapori che si sono mantenuti intatti, e che ci avevano accompagnato per tutta la nostra fanciullezza, l’adolescenza, la giovinezza.

Ma se i sapori rimanevano intatti, la città cambiava, e noi stessi cambiavamo. Eravamo bambini, crescevamo senza preoccupazioni in quella città che respirava il profumo di gelsomini. C’erano ferree regole da rispettare, i nostri genitori avevano validi alleati nell’insegnarci l’educazione: i nostri  maestri! Questi non si creavano alcuno scrupolo se dovevano fare ricorso a quella benedetta bacchetta che tenevano sul banco e con la quale accarezzavano le mani e le gambe scoperte degli alunni più discoli e meno studiosi!

Avevo già parlato di Pippo Sindoni, ricordando quegli anni, fatti di “estenuanti corse in marina, … giochi del tempo, … sgroppate felici dietro una palla di gomma” con noi ragazzini che “… avvicendavamo qualche giocata ai bigliardini, o le domeniche al cinema, affascinati dalla muscolatura di Steve Reeves o di Mark Forrest, eroi dei film mitologici e trionfatori del bene sul male. Interpretato, quest’ultimo, dal solito tiranno che alla fine subiva una morte violenta fra le urla di approvazione e di esultanza di noi fanciulli. E alla fine del film, prima di andare a casa, la rapida incursione per assicurarci la cena, fatta di una focaccia al forno, o “fritta”, o di un arancino al sugo o alla carne (era la forma che ci permetteva di riconoscerlo…). Il tutto dopo una fila spesso interminabile da don Vincenzo Codraro, fra tante braccia alzate a mostrare lo scontrino e chiedere anche un bicchiere di spuma!“.

Ecco, DON Vincenzo, artefice anche lui di una crescita entusiasmante che andava di pari passo con le nostre richieste sempre più sofisticate: non più la pizzetta rotonda, tradizionale, o il solito arancino alla carne, o la focaccia a taglio, ma altre prelibatezze che avremmo gustato, anzi divorato, come se fossimo a digiuno da mesi! A lui dedicheremo un ricordo a parte, nel nostro album… 

Facendo ancora un passo indietro, parliamo invece di un signore nato al Borgo, al Carrubbaro (come si chiamava allora l’attuale via Monastero, che da via San Francesco porta a via Roccazze e scende tramite scale verso Vaccarella). A fornirmi  notizie della sua vita, è la nipote Maria Grazia Sindoni, figlia di Pippo. Aveva in mente di ricordare su queste pagine la figura del nonno, del quale il 26 luglio ricorre il 45° anniversario della scomparsa, e si rivela per me una fonte preziosissima di notizie, per scrivere l’essenziale di un uomo che ancora oggi i milazzesi ricordano, se non fisicamente, nel soprannome rimasto scolpito nella memoria.

Era del 1898, e nella sua gioventù, da milazzese purosangue avvertì il richiamo del mare. Si imbarcò sulle navi mercantili, e fu assegnato alle cucine. Ogni giorno che passava, si rendeva conto che quel lavoro di cuciniere non gli bastava: aveva altri obiettivi, doveva rubare, come si suol dire, il mestiere! E così, seguendo consigli ed insegnamenti dei suoi maestri, imparò ricette diverse e pian piano divenne un cuoco molto apprezzato, al punto che gli fu conferito un nomignolo, MONZU’, deformazione napoletana del francese monsieur, ossia signore, per elevarlo ad un livello di eccellenza, di professionismo.

Pochi sapevano che anche Milazzo, in quegli anni, vantava un rappresentante che segnò il punto di unione tra la cucina francese e quella napoletana. Cercando di saperne di più scomodando nientemeno che l’Enciclopedia Gastronomica Italiana, scopriamo che nella «traduzione dialettale napoletana e siciliana della parola francese monsieur, Monzù erano chiamati nei secoli XVIII e XIX i capocuochi delle case aristocratiche in Campania e in Sicilia perché, in epoca di influenza gastronomica francese, niente più di un titolo francesizzante pareva premiare l’eccellenza, anche se essi di solito francesi non erano.».

E lui, quel giovane del Carrubbaro, proprio francese non era: si chiamava DOMENICO OTERI, Mico per tutti, quando partì.

Al ritorno Mico Oteri fu conosciuto con un appellativo che non è assolutamente un soprannome offensivo, così come spesso si intendono i soprannomi dalle nostre parti, ma il giusto riconoscimento della sua arte culinaria. Il MONZU’ divenne un diminutivo, per la giovanissima età del cuoco, e si trasformò in MUNZUEDDU, termine dialettale con il quale prima a bordo delle navi, poi a terra, nella sua Milazzo tutti conoscevano quel ragazzo che aveva tanto da insegnare e da far gustare ai suoi compaesani.

Decise quindi di non imbarcarsi più, e con i soldi guadagnati aprì una rosticceria nella strada S. Giacomo, attuale via Giacomo Medici. Il locale lo chiese al barone Lo Miglio, che non esitò a darglielo in affitto, conoscendo il suo talento e sicuramente desideroso di offrire alla città un punto di riferimento gastronomico che con il tempo avrebbe acquisito prestigio e popolarità. Aveva visto bene, il Barone; e da qui comincia la storia di quella che sarebbe diventata la rosticceria di Oteri, Munzueddu, con il giovane Mico che andava orgoglioso del soprannome con il quale era conosciuto anche fuori da Milazzo.

Convolò a nozze con Maria Cardullo, benestante di Gualtieri Sicaminò, che fu per lui un valido aiuto nella sua attività. Dal loro matrimonio nacquero tre figli, due femmine, Serafina e Carmela, e Gaetano. Mentre Serafina e Gaetano emigrarono negli USA, Carmela si sposò con Pippo Sindoni ed ebbe due figlie, Agata e Maria Grazia; quest’ultima è diventata per TERMINAL una fonte inesauribile di notizie.

La rosticceria di Mico Oteri divenne un riferimento per chi voleva gustare le sue specialità: innanzitutto gli arancini, preparati con lo stesso procedimento appreso a bordo della navi; e dopo gli arancini, fu la volta delle timbalette, dei pitoni fritti e delle crocchette di besciamella! Milazzo balzò prepotentemente agli onori della gastronomia: dai paesi vicini, e persino da Messina, in anni in cui affrontare un viaggio a Milazzo era proibitivo e comportava un dispendio di tempo, venivano a richiedere le sue specialità. La sua attività giunse fino agli anni della nostra giovinezza. “Ricordo – racconta Maria Grazia – che in occasione di una gara di go kart che si disputava per la festa del Santo Patrono, fu imbandita una tavola in via Medici, davanti alla rosticceria. Su di essa, ogni ben di Dio, che il nonno aveva preparato con le sue mani. Mi pare fosse il 1968, aveva 70 anni, e per noi nipoti era sbalorditivo che in quel “vecchio” signore ci fosse ancora tanto entusiasmo, tanta bravura, tanta voglia di dare saggio della sua alta professionalità! Con mia sorella Agata – continua Maria Grazia – dal balcone del barone Lo Miglio stavano affacciate ad assistere alla gara e ad ammirare le specialità che il nonno offriva ai piloti”.

Fu probabilmente l’ultima apparizione del vecchio Munzueddu; poi il locale passò al genero, Pippo Sindoni.

Il 26 luglio del 1975 Domenico Oteri si spegneva. Aveva 77 anni. 

Come ho già raccontato, don Pippo Sindoni “… era … il riferimento gastronomico e non solo per la città! Le sue specialità rimasero per lunghissimi anni le più richieste“. Un’eredità che seppe gestire con passione, riconquistando la fiducia di una vecchia clientela che non voleva rinunciare ai sapori ed offrire alle nuove generazioni quelle delizie per il palato. 

Sono ricordi di altri tempi…

Dopo aver reso omaggio a Pippo Sindoni, ecco un’altra pagina di storia di Milazzo, raccontata per far conoscere quel ragazzo del Carrubbaro, imbarcatosi ancora giovane, che apprese a bordo le arti dei grandi cuochi, e fu ribattezzato MUNZUEDDU, piccolo cuoco. Piccolo perchè non aveva ancora la maggiore età… Ma per tutti fu un grande, e Milazzo gli deve qualcosa per ricordarlo.

La nipote Maria Grazia ci ha fornito lo spunto, in nome di un grande amore che, assieme alla sorella, nutriva per i suoi nonni, presso i quali erano cresciuti dopo la morte della mamma. Proprio ai nonni rivolgiamo i nostri pensieri: per tutti noi sono i primi inseparabili amici, che tornano improvvisamente piccoli per adattarsi alle nostre richieste. La loro partenza ce li restituisce, nel tempo, come angeli custodi: come tali continuano a stare al nostro fianco, e a proteggerci anche quando, ormai grandi, la parola “nonno” la pronunciano i nostri nipoti per chiamare noi… 

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