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“DELITTO/CASTIGO” APPLAUDITISSIMO AL VITTORIO EMANUELE DI MESSINA

SERVIZIO di RITA CHILLEMI 

L’opera di F. Dostoevskij viene reinterpretata da Sergio Rubini con la collaborazione di Carla Cavalluzzi sin dal titolo, dove non compare la “e” congiunzione per dare posto ad una barra Delitto\Castigo come se è il delitto a generare il castigo o il Delitto sinonimo di Castigo.

E’ la storia di un giovane studente Rodja Raskolnikov, interpretato da Luigi Lo Cascio, che uccide una vecchia usuraia per impossessarsi del suo denaro e liberare l’umanità da un essere abietto e parassitario; l’omicidio diventa duplice perché sopraggiunge la sorella dell’usuraia; una storia attorno alla quale ruotano altri due piani narrativi: la vita di Marmeladov alcolizzato per debiti con la figlia Sonia che si prostituisce per vivere e quella della sorella di Rodja, Dunja con i suoi amori sbagliati, storie di miserie e di povertà dalle quali il protagonista vuole fuggire, perché sente di non appartenervi, lui che sente invece di far parte di uomini superiori che possono “eliminare le sterpaglie.” “possono anche uccidere”…

La scena scarna che accoglie il pubblico, ancor prima dell’inizio, presenta una nudità di arredi, con i cappotti appesi, quasi a ricordare la “selva dei suicidi” dantesca dove i corpi erano appesi agli alberi, e un recipiente dove sonoramente si sente cadere con regolare cadenza una goccia d’acqua (gutta cavat lapidem).

Il fonico G.U.P. Alcaro, protagonista di questa mirabile trasposizione, è lì a riprodurre ogni moto del conscio e dell’inconscio.

Sergio Rubini narra e impersona diversi protagonisti della storia, da Marmeladov alla madre di Rodja, simbolo di quella voce cristiana, di quell’amore che penetra sino al turbamento, al risveglio della coscienza del figlio, la madre che avverte il cambiamento e, seppur con amore, ne ha paura.

Il protagonista Rodja Raskolnikov è Luigi Lo Cascio che incarna il tormento del processo della Coscienza e pian piano dallo stato di superiorità comincia ad essere scavato dalla “goccia” del pentimento, del dubbio, dell’insistente pressione di ammettere la colpa.

Un conflitto che crea una febbre, una scissione, uno sdoppiamento; un omicidio che produce un castigo, un’arma a doppio taglio. Come è la scrittura del romanzo, dove la realtà, attraverso il racconto in terza persona, è continuamente interrotta e aggredita dalla voce pensiero, in prima, del protagonista. Ed è proprio questa natura bitonale di Delitto e Castigo a suggerire a Sergio Rubini la possibilità di portarlo in scena attraverso una lettura a due voci.

Sergio Rubini, voce narrante di personaggi e coscienze, coscienze del male e del bene che sulla scena assumono sempre più forma e consistenza, da vita ad un dramma eterno e nuovo nelle tecniche, polifonico e poli sonoro.

Luigi Lo Cascio si sdoppia sulla scena tra personaggio che tiene il testo e lo segue con smaniosa fedeltà e coscienza che si dimena in uno stato febbrile e disperato, ricordando quel travaglio “dell’Innominato”, quel tormento che scaturisce dall’inevitabile consapevolezza delle colpe commesse, del “castigo” di cui il tormento stesso è una faccia… a parlare è la coscienza nuda senza giacca, pallida, ma sempre più incalzante e visibile… così come il giudice istruttore interpretato da Roberto Salemi che chiacchiera con lui, con toni tranquilli diviene scandaglio della coscienza e lo stesso Marmeladov con Sonia e Dunja, entrambe interpretate da Roberta Pasquini sono voci di coscienze che si stagliano sulla scena tutte indipendenti, tutte autonome, ma tutte in balia del male, richiamate dal flusso etico del Bene, tutte convergono a spingere Rodja alla confessione, all’ammissione della colpa.

Sergio Rubini, quasi con arte maieutica pone sulla scena le vere protagoniste “le coscienze”, sempre meno nude e sempre più definite come mani che danno forma all’opera: la coscienza di Rodja.

Dostoevskij, nel suo romanzo ha smosso e risvegliato la coscienza dell’uomo. Sergio Rubini ha dato vita e corpo sulla scena “ alla coscienza” della colpa che viene punita con il castigo. Oggi si tende a falsare, a seppellire la voce della coscienza dell’uomo moderno e ad assolverlo dalle colpe commesse.

Rita Chillemi

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