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IL RICORDO DI NINO CUSUMANO…

Ex portuale, dicevano i necrologi, per consentire a chi avesse letto di individuare con esattezza quel vecchi amico che abbiamo salutato ieri, alle 16, nella chiesa del Sacro Cuore. Nino CUSUMANO abitava a due passi da casa mia, giunto prima di me in via Cap. Massimo Scala, in quella casa che oggi è circondata da palazzoni che la soffocano. E in quella casa è rimasto fino a quando Dio lo ha chiamato a sè. Lo conobbi quando i figli minori, Massimo e Bruno, nei primi anni 70 furono affascinati anche loro dall’atletica leggera, e mi seguirono con passione e buona volontà. Con me si sottoposero a quotidiani allenamenti, al punto da raggiungere incredibili traguardi per ragazzi della loro età: con la mia società, la Fiamma Milazzo, conquistarono, entrambi, il titolo italiano nella corsa campestre.

Erano gli anni in cui venni nominato supplente di educazione fisica, e davo tutto me stesso per preparare i ragazzi che, anche dopo l’orario scolastico, desideravano continuare a correre, a lanciare il peso, a marciare, a saltare. Per quei ragazzi la massima aspirazione era la trasferta a Messina, e alla fine della stagione, sapere che si erano guadagnati il viaggio per disputare la gara della loro vita. A Firenze, a Rieti, a Orte, a Ostia, a Belluno, a Foggia… una volta l’anno, ma quanto bastava per dimostrare che, a nemmeno 14 o 15 anni, erano maturi ed in grado di competere con i loro pari età… In una città da sempre priva di impianti sportivi, nessuno si creava scrupolo di correre per le strade o lungo la litoranea di ponente.

Massimo e Bruno mi vennero affidati da quel genitore giovane, che mostrava soddisfazione per il mio impegno e che, nonostante la mia età giovanissima, mi chiamava “professore“. Quello era il mio ruolo all’interno della scuola, e nonostante i ragazzi si sentivano autorizzati a chiamarmi con il mio nome, lui, il signor Cusumano, anticipava il mio saluto accompagnando il “buongiorno” o il “buonasera” con quel titolo, “professore“, che mi metteva in imbarazzo. E per tutta la sua vita continuò a darmi quell’appellativo, segno di rispetto, ma soprattutto di quell’educazione che lo stesso aveva trasmesso ai figli, ai nipoti, a tutti i suoi familiari.

Discreto e garbato, era uno dei genitori che ebbero fiducia in me, quando quella numerosa comitiva di ragazzi raggiungeva, gioiosa, la vecchia stazione per prendere il treno. O quando, prima di una partenza importante, lontani dalla nostra Sicilia o semplicemente per raggiungere Messina, si facevano le ultime raccomandazioni: il signor Crisafulli, papà di Armando, il prof. Lampone, papà di Salvatore, il signor Catanzaro, papà di Maurizio, il signor Meo, papà di Salvatore, il dottor Fulci, papà di Antonio, o il signor Merrina, papà di Francesco, o il signor Santino Bizio, papà di Filippo… Genitori che sapevano di avere affidato i figli ad uno che aveva meno della metà dei loro anni, e solo qualche anno in più dei loro figli! Roba di altri tempi, ma soprattutto certezza che in quella società sportiva, in quella grande famiglia sarebbero stati protetti e tutelati. Lontani da casa, ma lontani soprattutto da tentazioni che di sportivo avevano ben poco.

Rivedevo spesso il signor Cusumano, papà di Massimo e di Bruno, ma anche di Franco, di Carmelo, di Pina e di Angelina, in sella alla sua bicicletta. Per lui il tempo sembrava non essere mai passato, così come non lo era per me, ma i quarant’anni in più si notavano, eccome! La stima, il rispetto, l’educazione erano rimasti gli stessi; ma non la vitalità. Erano comparsi i problemi tipici dell’età, fatti di malanni e di qualche “infortunio” di percorso, facilmente superabili quando la famiglia è unita, quando le preoccupazioni vengono messe da parte… E così il “Buonasera professore” o il “Buongiorno, signor Cusumano” ci accompagnarono per tanto tempo ancora… Poi, da qualche mese, non lo vidi più. Certamente l’età avanzata non gli consentiva di girare in bicicletta, specie in inverno, e pensai che il signor Cusumano si sarebbe rivisto in giro, con la bella stagione. Speranza vana: solo ieri, in chiesa, da Massimo ho saputo che non usciva più da solo… la salute non era più quella di una volta, e la moglie, i figli, tutti, si prendevano cura di lui, con amore, con premura, con affetto. Sentimenti mai venuti meno in tanti anni di vita familiare, come marito esemplare, padre premuroso, nonno affettuoso…

Per l’ultimo saluto erano tutti lì, attorno a lui, andato via per sempre…

E in quei minuti davanti alla bara coperta di fiori, ho pregato per lui, salutandolo… Addio, signor Cusumano.

Mentre mi è sembrato che qualcuno mi avesse risposto. “Addio, professore…“. Sì, era lui, con il suo ultimo segno di affetto e di stima nei miei confronti…  

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