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ALBUM DEI RICORDI. C’ERA UNA VOLTA CILINDRO…

cilindro

PUBBLICANDO IL COMMOVENTE RICORDO SCRITTO DA MARIO PERLUNGO VOGLIAMO RENDERE MERITO AD UN MILAZZESE CHE MOLTI NON HANNO CONOSCIUTO MA CHE TANTI RIVEDRANNO COME SE FOSSE ANCORA LI’, NEL SUO CHIOSCO, IN MARINA…  

Negli ultimi giorni dell’estate, qualche anno fa, ho incontrato per caso Franco, al Nord ormai da tempo immemorabile, sempre uguale nonostante abbia la mia stessa età: i capelli neri, che non ha tinto, sono i suoi, ispidi e folti; gli stessi occhi neri pungenti e profondi, indagatori. Abbiamo preso un caffè freddo e ci siamo incamminati, parlando, verso il lungomare: “Ti ricordi, mi dice, qui c’era la baracca di Cilindro?”.  Come potevo non ricordarmene?

Si trovava proprio all’inizio del lungomare, come se volesse dare il benvenuto a tutti coloro che, in tempi ormai lontani, iniziavano da quel punto un percorso per aprire il gioioso e variopinto corteo di giovani e meno giovani che continuava fino alle fontanelle. Da queste cominciava il secondo tratto, che conduceva verso Vaccarella, quello che spesso e volentieri si lasciava agli innamorati, seduti sul muretto ed immersi nella penombra, protetti da occhi indiscreti grazie alle palme, a quei tempi ancora ad un’altezza tale da potere costituire un naturale separé… Per i giovani di allora andare avanti e indietro significava fare la “vasca”; era un modo diverso di passare il tempo, al punto che di “vasche” c’era chi ne faceva veramente tante… Di costoro si diceva che conoscessero quante mattonelle avesse la marina, e quante a furia di passeggiare ne avessero consumate…  

Immancabile, accanto al chiosco di Cilindro, un calciobalilla. Serviva come richiamo per i giovani che disputavano interminabili partite, sempre con relativa scommessa, spesso dal pomeriggio fino alla chiusura notturna. Senza sosta, alla pallida luce di una lampada al neon, con le mani fino a screpolarsi a furia di tenere ben strette e girare con forza le stecche, scolando birra, chinotti e granite al limone.

Il titolare del chiosco era Nino Caragliano, conosciuto dai più come Cilindro. Lo rendevano vivo, oltre a lui, la moglie, un robusto numero di figli molti dei quali nostri amici, e il cane Pasquale. Questo era un grosso bastardo dal pelo marrone, che stava sempre accucciato, mogio mogio, come se fosse stato appena bastonato, in un angolo della minuscola e precaria baracca di legno e lamiera che ospitava il banchetto di un bar. Pasquale si muoveva dal suo comodo ripostiglio solo ed esclusivamente per correre dietro alla vecchia lambretta del suo padrone nel tragitto casa – chiosco e viceversa. Aveva avuto la fortuna di portare un nome da essere umano, quando proprio a Milazzo e in tanti altri paesini della Sicilia la maggior parte dei residenti è conosciuta con il soprannome, la cosiddetta ’nciùria.

Anche Cilindro sembra una ’nciùria, ma non è così: il suo era un nome d’arte, perché lui era addirittura un vero e proprio artista. Cilindro era l’anfitrione del chiosco del quale andava giustamente orgoglioso. Stava sempre lì, impegnato a sistemarlo, a migliorarlo con discreta fantasia,  attaccando alle pareti e all’ingresso motivi nuovi sempre colorati, bizzarri poster di attori e cantanti, attricette di seconda mano del Bolero o del Grand Hotel, dei fotoromanzi in bianco e nero: Franco Gasparri e Michela Roc, idoli dei ragazzi di quegli anni. Mentre le ragazzette ci sognavano sopra il grande amore, il principe azzurro che poi non arrivava mai, gli intrighi e gli amori contrastati. Immancabile anche i colori nerazzurri, segno di riconoscimento per un grande tifoso della magica Inter degli anni di Moratti, di Sarti-Burgnich-Facchetti, di Sandro Mazzola, osannato al punto da dare anche a uno dei suoi figli il nome del suo beniamino.

Una sera, eravamo alla fine degli anni ’60, ero andato alla sagra della Patata, in una frazione della Piana. Patate a non finire, assaggi di pietanze a base di patate, ma ci andai perché proprio non avevo nulla di meglio da fare. C’era un piccolo palco, costruito sulla strada sterrata lungo l’unica via della contrada che la taglia perfettamente in due, tirato su con quattro assi inchiodate. Avrebbe dovuto ospitare l’attrazione della festa locale, un complessino di chitarre, batteria e fisarmonica. Si chiamava “Le Furie”, ma nonostante il nome, suonava una musica moscia e senza ritmo, monotona e languida, buona solo per far ballare i lenti ai paesani ed alle persone presenti. Ma il meglio era tutto da scoprire: l’ospite d’onore!

Con il suo trucco forte sulle guance e sul naso, con la parrucca rossa e le lentiggini disegnate sotto gli occhi, arriva lui, spilungone magro magro sul palchetto con la sua bisunta palandrana nera ormai lucida e stretta, saltellante e salutando il suo rumorosissimo pubblico! Si esibisce in una serie di scenette, battute e barzellette che facevano ridere rumorosamente. Risi come non lo avevo mai fatto! Rise il pubblico presente, che tributava applausi a scena aperta, mentre qualcuno lanciava fischi e pernacchie, per puro esibizionismo, nei confronti di un personaggio che tutti conoscevano! Ma il fragore degli applausi copriva le pernacchie di qualche giovane idiota. Sorpreso alla sua vista, – ehi, ma quello è Cilindroooo – anche io ad applaudirlo e a gridare squarciagola “Vai Cilindroooooo!”.

Che sorpresa davvero però vederlo lì… Eccole dunque le virtù nascoste del nostro conoscente, il comico dal nome d’arte Cilindro. Mentre la moglie a fargli da spalla suscitava i sentimenti più disparati. Era donna piccoletta e pimpante, con una gonnetta corta corta. La conoscevamo, certamente. Aveva partorito già parecchi figli, e mi chiedevo come avesse fatto, con quel fisico piccolo e minuto. Tutto ad un tratto le risate cessarono, pensando a quella donna forte nel fisico e nel cuore che sembrava librarsi leggera e sorridente nell’aria. E ad ogni salto che faceva, era un’emozione per me, ragazzo di poco meno di venti anni, mentre mille pensieri si insinuavano nella mia mente! Pasquale, poveraccio, cane dal nome di essere umano, stava sempre li accucciato con il muso per terra sulla polvere, incurante del frastuono e della folla, ad aspettare paziente la fine della serata speciale del suo padrone per poi alzarsi pigramente e cominciare a correre e correre, con la lingua penzoloni, dietro a quella vecchia lambretta sgangherata guidata dall’ospite speciale, guest star della festa della sagra della patata. Con la moglie sul sellino di dietro, con le sue gambette corte, con un’aria da eterna rassegnata sognatrice, abbracciata stretta al suo Cilindro che l’aveva resa madre tante volte. E ci deve essere amore, tanto amore per stare così assieme. Sì, c’era amore tra Cilindro e la sua donna, che tornavano a casa stanchi e forse per una sera soddisfatti. E buttarsi sul letto dopo un giorno di chiosco e di spettacolo serale. Per dormire, e sognare chissà quali palcoscenici, quali vestiti, quali costumi e quale pubblico raffinato e colto…

Mentre la realtà era diversa, anzi sempre la stessa: svegliarsi al mattino, risalire sulla vecchia lambretta, con il paziente Pasquale al seguito, per aprire ancora una volta, l’ennesima volta il chiosco di legno e lamiera consumato dalla salsedine della Marina, vicino alla statua del nostro intrepido eroe Luigi Rizzo parato lì eterno, enorme di bronzo, con la sua muta di gomma ed il berretto da marinaio calato sulla testa, con il corpo piegato a indicare e guardare il mare di levante, con lo scirocco caldo in viso, con il ponente alle spalle, il forte vento di maestro in poppa.

Franco è partito. Non lo vedo da qualche anno. Tornerà, ne sono certo, e magari ci incontreremo di nuovo in qualche bar, per un caffè…e faremo la nostra consueta “vasca” in marina, fermandoci per far correre la memoria… fin quando ci saranno i ricordi, potremo dire di essere vivi… E quando un giorno non ci saremo più, spero che rimanga qualcuno dei nostri amici a mantenere intatta la memoria, il più a lungo possibile. Ci sono persone di Milazzo che quelli come me, quelli di una certa età, non dimenticheranno mai: uno di questi è Nino Caragliano, nome d’arte Cilindro, interista, amico di tutti e sempre col sorriso sulle labbra. I suoi figli, che ho l’onore di avere come amici, rispecchiano in pieno la cordialità e la giovialità del padre! 

(Mario Perlungo)

Nella foto, scattata da Pippo Cannistrà, Nino Caragliano, Cilindro, in abiti da palcoscenico.  

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