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IL MITICO CAMPO DEI PARRINELLI…

 

calcio chsUN IMPIANTO SPORTIVO FATTO IN CASA, MIGLIAIA DI RAGAZZI CHE VI HANNO GIOCATO, TANTE STORIE DA RACCONTARE… (nella foto a fianco, una delle tante squadre che giocarono al Campo dei Parrinelli)

Mitico davvero il campo dei “Parrinelli”, in quel di ponente! Lì infatti fino al 1967 (almeno così ricordo) giocavano ancora i collegiali di San Papino guidati, fra gli altri, dall’arzillo padre Giorgio Catania, che colgo l’occasione di salutare da queste righe. Era all’epoca un campetto dal muro basso, con una porticciola in ferro fatiscente, spesso aperta, si approfittava per entrare e giocare la partitella. Il terreno era pietroso, accidentato, le porte di legno senza rete, nessun’ombra di linee per terra e tutto all’aperto. L’erba era solo fatta da qualche rovo o cardo sopravvissuti alla frequente furia degli elementi. Immancabile il talent scout Vincenzo Patti, alla ricerca di giovani dotati da inserire nelle sue formazioni! Si giocava sotto il sole d’agosto o nel mezzo delle gelide bufere di ponente, con le scarpe che non si usavano più. Qualche fortunato aveva le scarpette da football furtivamente sottratte a qualche squadretta locale. All’epoca (anni 60) un paio di scarpe, unico e solo, per estate, inverno, feste e lavoranti, doveva durare in media 2-3 anni. Ricordo che una volta con questo tipo di scarpe stavo per iniziare a giocare quando un amico mi disse: “Ma quelle scarpe possono ancora essere buone per passeggiare!” Eppure avevano almeno 3 anni ed erano già spaccate in più punti. Non c’erano parastinchi, né magliette dello stesso colore, si giocava in pantaloncini o in pantaloni (quelli vecchi ovviamente) ma contava solo questo: giocare comunque! Poi ogni tanto si interrompeva la gara per sentire le ultime da “Tutto il calcio minuto per minuto” e allora sfottò e contro sfottò fra milanisti, juventini, interisti o fiorentini. Che tempi! Senza arbitro di solito, fioccavano insulti, calcioni, pugni, bagarre ma spesso anche lealtà, corse pazze, errori e risate! Si arrivava a gruppi, poi i 2 capitani si sceglievano gli uomini per fare le squadre: se si era in 12 si giocava 6 e 6, se in 17, 8 e 9 mettendo, fra i più numerosi, due ritenuti “più scarsi”. Spesso era più facile fare autoreti che reti, il fuorigioco non c’era e se ti stavi vicino alla porta avversaria potevi segnare anche a “porta vuota” perché spesso in porta non voleva giocare nessuno o si metteva un bambino che, data l’età, non poteva pretendere un ruolo fra i grandi, ma era ben accolto se giocava in porta. Che risate! Fra noi c’era un tizio che aveva fatto il provino da militare a Marassi, nel mitico stadio di Bernardini e mostrava grande classe e interventi da calciatore di un’altra categoria. Ma ogni tanto si stufava e se ne andava lasciando la squadra e tutti senza un uomo … Una volta questo ragazzo (di allora) decise di lasciare la partita mentre la sua squadra attaccava … aveva già messo cappotto e cappello e si avviava all’uscita quando gli avversari lanciavano un perfido pallone verso la porta … sguarnita. Preso da orgoglio e sentendo le disperate grida dei compagni, il nostro amico con tanto di cappotto e cappello si lanciava in mezzo al terreno di gioco sul pallone e toltosi il cappello respingeva con uno stacco invidiabile e preciso restituendo la palla agli amici, ammirati e increduli, poi salutava e se ne andava. Mitico ed eroico gesto! Spesso gli interventi erano durissimi: un nostro mancato grande talento calcistico, esile ma scattante, venne una volta brutalmente scaraventato sul muro del campo che cupamente risuonò come sotto una mazzata. In una partita per l’addio al celibato di un carissimo amico (che a 18 anni venne “costretto” a sposare una sedicenne che aveva … messo in stato interessante), si sfidarono i “parrinelli” che, guidati dal padre superiore, scesero in campo con divisa e tanto di bandiera. Gli amici eravamo in soprannumero: si decise di giocare 13 contro 13, forse unico caso nella storia del calcio! Noi eravamo al solito senza divisa con le scarpe da passeggio e i pantaloni strappati, ma vincemmo e il nostro prossimo sposo segnò uno dei 3 goal con cui liquidammo gli impettiti collegiali. Poi ci fu un rigore assegnato dall’improvvisato arbitro ai pretini: bisognava pur ripagarli per l’ospitalità e la disponibilità! Allora ci fu silenzio, il padre superiore si sollevò l’immensa tonaca mostrando due gambe massicce e muscolose. Prese la rincorsa avendo davanti in porta un bambino di 10 anni impaurito e direi inorridito a tal vista … Un tiro potentissimo, una cannonata che se avesse colpito quel poveraccio l’avrebbe per lo meno mandato all’ospedale. La palla sibilò urlante alla destra dell’incrocio dei pali e ne seguì un rumore allucinante di vetri rotti: un’intera vetrata di una casa vicina veniva “scutulata” a terra, mentre urla disumane e bestemmie salivano al cielo. Fu il fuggi fuggi generale: i preti di corsa in collegio a recitare ave marie, noi a trovare l’uscita e scattare più velocemente possibile, mentre un robusto individuo dal viso truce faceva volteggiare per aria un nodosissimo bastone. Chissà come finì! Certamente per qualche settimana nessuno mise il naso da quelle parti.

 

 

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