Nella nostra città verso la fine degli anni 50 si decise di aprire una Raffineria e per l’epoca (eravamo in piena espansione industriale) sembrò una scelta giusta per l’enorme ritorno occupazionale e commerciale dell’intero comprensorio. Penso che lo sia ancora oggi, a patto che ci sia il giusto equilibrio tra industria e salute.
In quegli anni, e per buona parte dei, decenni successivi, Milazzo pullulava di petroliere ormeggiate nel golfo di levente. Erano gli anni in cui molti comandanti e armatori senza scrupoli, per guadagnare tempo nelle operazioni di carico ai pontili della Raffineria, scaricavano l’acqua contenuta nelle stive delle navi prima di arrivare nella baia. Infatti le petroliere, per non spezzarsi durante la loro navigazione, devono sempre viaggiare cariche o di prodotto o di acqua: per cui le cisterne della nave erano sporche di petrolio grezzo (la pece) che mischiato all’acqua e scaricato a mare, galleggiando, arrivava nelle nostre belle spiagge.
Chi ha superato i sessant’anni ricorderà i giorni estivi trascorsi al mare nella nostra riviera di Ponente (dagli anni 60 a circa venti anni fa). Puntualmente ci macchiavamo il costume o la tovaglia da mare con l’immancabile pece.
Era la nostra piaga di Ponente che non risparmiava nessuno; bisognava fare la gimcana scansandola per arrivare alla battigia e a fine giornata, se andava bene, si tornava a casa soltanto con i piedi macchiati.
Nelle borse delle mamme c’era la bottiglietta di trielina o di olio per togliere alla meno peggio quelle brutte macchie di nero sui corpi o sui costumi dei figli, e spesso il nostro abbronzante dell’epoca era usato più come smacchiatore che per il suo giusto scopo.
Chi non aveva olio o trielina o abbrazzante, ricorreva alle pietre di pomice più grandi.
I miei coetanei ricorderanno Del Bono Sport che fornì mezza Milazzo dei rinomati costumi Speedo in tutte le fantasie di colore possibili ed immaginabili: questi si sarebbero rovinati al primo bagno a Ponente.
All’epoca niente era migliore di un bagno a ponente; solo che il nostro amato mare, per colpa delle correnti, ci restituiva tutto quello che su di esso galleggiava: la pomice di Lipari (adesso scomparsa per la chiusura della fabbrica), le bottiglie di vetro (adesso sostituite da quelle di plastica), la solita pece e… la spazzatura. Nelle giornate in cui il mare era molto agitato era normale vedere galleggiare a pochi metri di distanza della battigia isolotti composti da questi materiali, che inesorabilmente venivano depositati sulla spiaggia dalle onde. Ma vi siete mai chiesti da dove veniva? Avete fatto caso che adesso non esiste più? Vi siete chiesti perché?
Purtroppo negli anni sessanta/settanta i problemi ambientali sono stati molto sottovalutati perché, forse, si pensava che la nostra Terra era così grande da sopportare tutte le “angherie” che l’uomo gli procurava. Adesso le normative sono molto severe, i percorsi e le operazioni in navigazione delle petroliere sono controllate anche dai satelliti, ed esse da anni sono obbligate a scaricare l’acqua di zavorra in Raffineria (che la tratta adeguatamente) prima di caricare altri prodotti.
La pece sui costumi, sugli accappatoi, sui teli da mare o sulle ciabatte rimane un ricordo che i più giovani non conoscono. Anzi, se qualcuno ne dovesse sentire parlare, meravigliato dirà “Ma di cosa state parlando?”
Noi all’epoca c’eravamo, e spesso abbiamo ingaggiato battaglie giornaliere che ci hanno visto soccombere, purtroppo. Non era una lotta per la sopravvivenza, fortunatamente. Ma guai a chi non la combatteva…
(liberamente tratto dai ricordi di Mauro Insinga)
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