C’erano anni in cui la scuola iniziava il 1° ottobre. Erano passati pochi giorni, in quel 1962, quando si presentò in classe, la V B, il nuovo insegnante di lettere, colui che avrebbe dovuto dominare con le sue interminabili ore di italiano, latino, greco, storia e geografia il panorama orario dell’intero anno scolastico.
Era un ometto di un metro e sessanta (centimetro più, centimetro meno), in abito sempre grigio quadrettato, occhiali vistosi, capelli molto corti, stempiato, sguardo nel vuoto, nessuna smorfia in viso.
Entrato e sedutosi in cattedra, disse: “Sono il vostro professore di lettere”, poi tacque e ci guardò.
Un silenzio gelido serpeggiò per l’aula. Abituati ad un sermoncino, ad una presentazione personale, ad un approccio alla classe, ad una iniziale lezione, ad un sorriso di incoraggiamento o ad un dito minaccioso su chi non avesse studiato, almeno all’appello, insomma, a qualcosa di “vivo”, ci trovammo invece immersi in una situazione surreale.
Qualcuno, facendosi coraggio (a quei tempi non si osava rivolgere la parola facilmente ad un professore, specialmente nuovo), disse con timido accento: “Come si chiama?”.
Il prof. rispose seccamente: “Guerrisi”. E fu di nuovo silenzio di tomba.
Passò mezzora almeno quando un’altra timida voce aggiunse: “E di nome?”.
Il prof rispose con voce metallica: “Antonio”.
Passò così un’ora e noi finimmo col chiederci: “Chi è mai costui? Sarà bravo? Spiegherà? Sarà severo? Ci preparerà bene agli esami?”.
A tutte queste domande, ben presto, avremmo avuto le risposte cercate, e che risposte!
Alla seconda lezione, che fu il giorno dopo, eravamo tutti curiosi di vedere cosa avrebbe fatto il nostro nuovo professore. Egli prese un libro di classico greco, forse l’Anabasi, ci disse di seguire anche noi dal posto, quindi a bassa voce prese a leggere e a tradurre. Il tempo passava e dal posto si bisbigliava, poi si tossiva, qualcuno chiese di uscire, e fu accontentato, seguì un secondo e uscì, un terzo e così via: alla fine si trovò da solo con le ragazze, che per la verità non erano state al gioco…
Fu un attimo, quando una mandria di cavalli correnti si precipitò in classe seguita dalle feroci urla del preside, chiamato di corsa dal bidello che, ad un’ora insolita, si era vista una ciurma di giovanotti assediare gli odorosi gabinetti del piano basso della scuola, a suo dire appena lustrati e ancora “bagnati”.
Intanto in classe tutto tornò (quasi) normale, ossia: il professore che parlava e si ascoltava da solo, le ragazze che cercavano di captare qualche parola, i maschi a chiacchierare, prima con voce bassa, quindi sempre più alta, quindi a produrre sghignazzi e infine qualche timida… pernacchia.
Più o meno così si andò avanti fino ai morti (primi di Novembre).
Nessuno studiava, ed il motivo è subito spiegato: con fare talora gentile, talora minaccioso, se qualcuno chiedeva al professore: “Mi mette un bell’otto in latino?” veniva subito accontentato: quello infatti, presa la stilografica, andava nella casella precisa (cercata anche dall’interessato) e vi piazzava il voto richiesto.
Una pacchia, che non tutti accettavano: le ragazze erano contrariate, e presto si rivolsero ai genitori che assediarono la presidenza al grido: “Questo tizio deve subito andarsene!!!”
Il preside si assunse la responsabilità di risolvere l’inghippo.
Per prima cosa guardò il curriculum scolastico del docente: impeccabile. Titolare con pieno merito, aveva persino decorazioni militari (forse per questo perdemmo la guerra…) e nessuno poteva sollevarlo dalla cattedra; eccetto alcuni forzuti alunni, con la scusa che da lontano non si sentivano le spiegazioni, che lo portarono seduto sulla sedia in processione per l’aula, fra le sue inutili proteste!
(FINE 1^ puntata) – di PIETRO TORRE
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