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MILAZZO, C’ERA UNA VOLTA LA METALLURGICA

SCIOPERO METALLURGICADA “L’INDUSTRIA E L’AMBIENTE”, di ALMA GASPARRO, 2008, PROPONIAMO QUALCOSA CHE CI PORTA ASSAI LONTANO NEL TEMPO… NELLA MILAZZO DEL DOPOGUERRA…

La prima grande industria del dopoguerra a Milazzo fu la Metallurgica Sicula, che dal 1952 avviò la propria attività produttiva, influenzando la dinamica sociale della popolazione e caratterizzando il passaggio dal settore primario, monopolizzato, più che dalla pesca, da un’agricoltura che andava pian piano esaurendo la sua funzione trainante, al settore secondario (inclusa l’edilizia, limitata a modesti interventi di costruzione o di ristrutturazione). La sua attività originariamente era legata alla produzione esclusiva di casalinghi smaltati e zincati. Successivamente furono realizzate altre lavorazioni, compresa quella di profilati in acciaio, a poco più di dieci anni dalla nascita. Una maggiore sicurezza occupazionale e una diversa stabilità finanziaria per i lavoratori, garantita dalla puntualità con cui venivano pagati stipendi e salari, sicuramente fecero comprendere che la grande industria, in quel particolare momento storico, avrebbe reso la città di Milazzo più evoluta dal punto di vista economico. Il panorama industriale che era andato delineandosi influenzò in modo considerevole anche le successive scelte, che portarono all’accettazione di una industria di più ampio respiro, nella quale le materie prime lavorate avrebbero trovato un mercato più vasto, in linea con le nuove tendenze e la crescita della motorizzazione.

Ma ritorniamo alla Metallurgica Sicula, la cui produzione viene spesso e ingiustamente abbinata alla fin troppo scontata creazione di oggetti considerati poco nobili, quali secchi, vasi da notte o semplici bagnarole. Sicuramente anche questi rientravano nella vasta gamma di articoli prodotti, ma l’assortimento dello stabilimento era ricco anche di oggetti di grande pregio estetico e diversa funzionalità. Si possono citare per esempio le stoviglie smaltate realizzate in lamierino e i notevoli servizi da tè. Il processo di lavorazione attraverso il quale si giungeva alla produzione di questi articoli si basava su distinte e delicate operazioni: dal taglio della lamiera grezza, all’inserimento degli oggetti ottenuti mediante la successiva pressatura al tornio e il decapaggio in  appositi forni per la cottura dello smalto. I casalinghi erano esportati sull’intero territorio nazionale: i prodotti della Metallurgica Sicula erano infatti richiesti anche dai grossisti delle province di importanti ed affermate città industriali del nord che successivamente rifornivano i dettaglianti. Questo stabilimento, è interessante ricordarlo, fu inoltre il primo impianto industriale di Milazzo a reclutare manodopera femminile nell’ambito del proprio personale operaio. Alle donne venivano affidate generalmente le mansioni meno pesanti, come curare il posizionamento dei casalinghi negli appositi macchinari o prelevare dai forni i pezzi da imballare ed immagazzinare. All’inizio degli anni Settanta, la Metallurgica Sicula era considerata la più grande zincheria da bagno del Meridione e rappresentava uno dei migliori complessi isolani per serietà ed organizzazione. Nel 1973, in un articolo sulla Gazzetta del Sud, i due corrispondenti Giuseppe Isgrò e Lorenzo Le Donne fornirono varie informazioni sull’azienda, descrivendola come uno stabilimento autonomo per quanto riguardava l’approvvigionamento dell’acqua industriale, sia per i processi lavorativi che per ogni altra esigenza. Venivano spiegate le tappe principali della sua ascesa, si parlava dei facili collegamenti dell’impianto con la via ferrata, e si dedicava particolare rilievo anche al trattamento, da parte del complesso industriale, dei residui inquinanti che derivavano dai processi di lavorazione, precisando come questo venisse effettuato nella misura prevista dalle vigenti norme sull’inquinamento. I giornalisti sottolineavano con orgoglio come la Metallurgica collocasse i prodotti finiti non solo sui mercati nazionali ma stesse organizzando l’esportazione verso i paesi del Nord-Africa per il settore tubi di irrigazione e profilati in acciaio, e fossero anche in corso trattative con i paesi del Centro-Europa per l’esportazione di stoviglie. L’articolo si chiudeva con ottimistiche previsioni su un probabile ampliamento delle strutture, a riprova della serietà e capacità imprenditoriale della ditta, che godeva ormai della massima fiducia del mercato anche aldilà dello Stretto. La realtà smentì purtroppo i due giornalisti. L’invasione sui mercati internazionali dei materiali plastici creò non pochi problemi alla produzione e alla competitività di parecchie aziende, specie nel settore metallurgico. Sono sempre più i prodotti di uso comune e quotidiano soppiantati da altri di diversa robustezza, durata e praticità. Il calo degli ordinativi e le successive crisi aziendali si inseriscono nel panorama nazionale delle rivendicazioni salariali e sindacali. Un caro prezzo fu pagato proprio dalla Metallurgica Sicula, che tormentata da continue crisi occupazionali e da frequenti agitazioni sindacali, cominciò a vacillare fino ad arrivare, nell’ottobre del 1974, a mettere in cassa integrazione uomini e donne a cui aveva dato un lavoro fin dal 1953. La situazione dell’azienda si aggravò ulteriormente l’anno successivo, quando ad ottantotto dipendenti fu recapitata la lettera di licenziamento. Il numero dei licenziati salì ancora un mese dopo. Ma una nuova fase sembrò aprirsi verso la fine del decennio quando, dopo anni di incontri politici e sindacali, la Metallurgica fu trasformata nella METT (Metallurgica e Tubificio Tirreno). Si trattò di un nuovo ciclo alquanto effimero: la METT fu fatta oggetto delle attenzioni di una finanziaria di Stato, la Gepi, che tentò un salvataggio, provando a curare la conversione in altre attività produttive, purtroppo senza risultati. Le assicurazioni di una cassa integrazione, la successiva ventilata trasformazione in industria plastica, il fallimento delle speranze riposte nella GEPI, il continuo procrastinare la ripresa produttiva, servirono solo ad alimentare illusioni.

Nella sua travagliata storia, la Metallurgica si vide infine guidare dal gruppo Tonioli, appartenente ad una famosa famiglia bresciana: fu cambiata la denominazione (SIDERMIL, acronimo di Siderurgica Milazzo), fu stilato un programma di ristrutturazione e di ripresa, fu previsto persino l’ampliamento dell’organico dei dipendenti. Ma neanche stavolta la ripresa ci sarà, per cui alla fine i lavoratori si troveranno soli, a fare i conti con una città esausta e sfiduciata, e le organizzazioni sindacali isolate. Nessun tentativo ulteriore aiutò a vincere il pessimismo sostituitosi all’entusiasmo che aveva tenuto in vita la prima realtà dell’industria metalmeccanica del dopoguerra della città di Milazzo, la prima vera alternativa alla Raffineria nel settore dell’industria della città. A dare il colpo di grazia, il ritardato assorbimento del personale nelle progettate Acciaierie del Tirreno, che non decollano secondo quanto programmato, e che dovranno fare a meno del 50% degli occupati previsti. … 

(da L’INDUSTRIA E L’AMBIENTE di Alma Gasparro, ed. Ass. Prov. Statistici, anno 2008)

      

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