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MILAZZO, UNA TRAGEDIA AVVENUTA IN ANNI LONTANI

di Pietro TORRE

Questa storia comincia con quanto è avvenuto a Milazzo in tempi lontani; ho raccolto dati e incontrato persone, collegato eventi e portato alla luce fatti realmente accaduti, ma essa è così drammatica che non posso non fare delle riflessioni, che tutti dovremmo fare cominciando a meditare sopra una fenomenologia alla quale si può non credere, ma che certamente ha, secondo me, qualche connessione con la realtà.

Coinvolge una famiglia del nostro paese, che voglio tutelare omettendo particolari che potrebbero farla individuare. La storia affonda le radici in tempi lontani, ai primi del XX secolo, quando una donna per gelosia viene aggredita dall’amante (o dal marito) che la minaccia brandendo un lungo affilato coltello. La donna, protetta dall’anziana ma vigorosa madre, riesce a fuggire in strada: è tarda sera, nessuno sente le grida di aiuto; l’aggressore intanto, svincolatosi dalla madre, la insegue ed è rapido, ma lo è anche la vittima che, trovato il portone aperto di un palazzo, vi si infila dentro nel tentativo di bussare a qualche porta per chiedere aiuto. Ma l’uomo la segue e raggiuntala, ingaggia sulle scale una colluttazione, mentre alle spalle lo assale la madre sopraggiunta nel frattempo. Nessuno ode il trambusto (o preferisce non intromettersi) e nella tragica successione degli eventi, il coltello trafigge l’anziana madre che muore di lì a poco.

Il caso all’epoca suscitò clamore, la gente ne disse di tutti i colori, l’assassino venne arrestato e non si sa che fine abbia fatto. Da quel momento nacque una leggenda metropolitana, narrata in particolare a partire dal dopoguerra: molti dicevano che dentro un portone di un palazzo al centro di Milazzo si vedesse una vecchia coperta di stracci dal volto nascosto in un ampio cappuccio che terrorizzava chi si trovasse in quel posto. La leggenda era ancora viva negli scorsi anni ’60 quando noi giovinastri in una delle bravate serali, chiudemmo un nostro amico, il più ingenuo della compagnia, in un vecchio portone dove gli avevamo detto si vedesse il fantasma, facendolo comunque uscire subito dopo fra le risate generali (e una certa “fifa” del malcapitato).

Ma torniamo alla tragedia: una oscura maledizione cominciò a colpire le persone che abitarono nel tempo quel palazzo, come se l’anima della persona uccisa volesse vendicarsi di quanti quella tragica notte lasciarono chiuse le loro porte di fronte al suo dramma. Si raccontarono molte cose, ma quelle che sto per dirvi riguardano una famiglia che abitò un appartamento in quel palazzo per alcuni anni, verso i ’70-’90.

Era una famiglia con vari figli. Il padre gestiva un piccolo locale sul lungomare cittadino, ma si occupava di mille cose ed era riuscito, con tanti sacrifici, a far costruire un palazzotto in periferia con tanti piani quanti erano i suoi figli. Affittato quell’appartamento, capiente e idoneo alle sue esigenze, le cose un brutto giorno cominciarono a cambiare: in un incidente si ruppe entrambe le braccia e dovette per qualche anno smettere di lavorare. Una mareggiata distrusse il suo locale e poiché non era assicurato, perdette ogni cosa. Infine, esasperato da tante avversità, finì con litigare con un impiegato in modo molto violento, venendo arrestato e processato con una condanna che gli costò un periodo di carcerazione. Aggiungo che una figlia in un momento di crisi profonda tentò il suicidio gettandosi in mare e venne miracolosamente salvata da alcuni marinai che si accorsero per fortuna in tempo delle sue intenzioni. Anni dopo un’altra figlia si suicidò davvero gettandosi dal balcone di uno di quegli appartamenti costruiti con tanti sacrifici.

Qui mi fermo, anche per non suggerire ai lettori il nome delle persone di cui sto parlando, ma, credetemi, di cose da dire ce ne sarebbero ancora tante. … E se aggiungiamo che anche ad altri, vissuti in quel palazzo, di cose tragiche e di apparizioni sinistre ne sono avvenute (e mi sono state narrate con preghiera si non divulgare), non resta che concludere che … con certe cose è meglio non avere a che fare.

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