A ridatece i ladri della Prima Repubblica! Questa espressione, per quanto possa suonare provocatoria, contiene un paradosso politico preciso: non è un elogio della corruzione, ma una critica alla deriva attuale.
Durante la Prima Repubblica, pur con tutte le ombre e i limiti, esisteva ancora una distinzione – anche solo implicita – tra ciò che era personale e ciò che apparteneva alla collettività. Chi esercitava il potere, anche se si prendeva qualcosa per sé, lasciava allo Stato una parte significativa: infrastrutture, ospedali, scuole, reti pubbliche. Il sistema era imperfetto, ma produceva risultati tangibili. Esisteva una visione dello Stato come struttura da mantenere, se non per etica, almeno per stabilità.
Oggi, al contrario, non si prende una parte: si prende tutto. Non resta nulla da redistribuire, da investire, da proteggere. I soldi ci sono, ma non vengono più destinati al bene comune. Vengono incanalati in spese opache, in operazioni finanziarie, in apparati militari, in vantaggi privati. Non esiste più una concezione di bene pubblico: lo Stato viene trattato come un patrimonio da sfruttare, non da amministrare.
A differenza del populismo da slogan, che si limita a gridare “sono tutti ladri”, questa riflessione pone una distinzione netta. Un tempo, il potere era esercitato anche con furbizia, ma all’interno di un sistema che produceva. Oggi, l’appropriazione è assoluta e sterile. Non solo si tolgono risorse alla scuola, alla sanità, ai trasporti, ma si rimuove l’idea stessa che quelle risorse debbano servire la collettività.
La sanità è stata abbandonata. Non è in crisi, è stata deliberatamente svuotata. I tempi di attesa sono insostenibili, gli ospedali non reggono, la medicina pubblica viene spinta al collasso. La scuola è lasciata in una condizione di precarietà sistemica. Le infrastrutture si degradano. I diritti sociali vengono ridotti a bonus occasionali, strumenti elettorali, frammenti di consenso temporaneo.
Non si tratta di rimpiangere chi ha rubato, ma di denunciare l’assenza totale di visione pubblica. Per questo si dice “a ridatece li ladri della Prima Repubblica”: perché almeno allora, tra mille contraddizioni, qualcosa restava.
Oggi non resta più niente, nemmeno la finzione di uno Stato per tutti.
(di O.M.)
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