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RICORDO DI MIO NONNO GIOVANNINO PETRUNGARO, ANDATO VIA SESSANT’ANNI FA…

Quanti anni avevano i nostri nonni quando noi eravamo bambini? Proviamo a fare i conti, se ricordiamo la loro data di nascita: molti di loro certamente non erano più grandi di quanto lo siamo noi adesso. Nati verosimilmente verso la fine del XIX secolo, avevano quasi tutti combattuto le Guerre (a soprattutto la prima), e li rivediamo vecchi solo perché noi eravamo bambini, e quello era l’unico confronto possibile, qualunque fossero i loro anni. E poi, allora, ad una certa età si era vecchi…

Nella prima infanzia abitai per parecchio tempo nella casa dei miei nonni materni; proprio in quella casa ero nato, da loro mi recavo in vacanza, in estate, e sempre da loro passavo le festività importanti, assieme ai miei cugini più piccoli, anche quando mi ero trasferito a Milazzo. Ed a Milazzo venivano a trovarmi ogni domenica da Messina: arrivavano alla stazione, e per giungere a San Francesco, dove abitavamo, mio nonno Giovannino Petrungaro saliva su una carrozza, fra le tante in sosta, per evitare di far percorrere tanta strada a mia nonna Pietrina. I cocchieri conoscevano quei due messinesi che andavano dalla figlia; uno in particolare aveva un rapporto confidenziale con il nonno, avendolo conosciuto anni prima a Messina, e sapeva che il suo viaggio a Milazzo era dovuto al desiderio di andare a trovare il nipote! Sei giorni intensi, da lunedì a sabato, passati a lavorare, a portare avanti una famiglia numerosa, e attendere con ansia quel giorno di riposo, che per loro due, di 66 e 60 anni, non voleva essere una vacanza, ma solo un viaggio d’amore e di affetto…

Chi oggi è nonno può capire cosa provassero allora, nei nostri confronti, quei vecchietti ai quali noi bambini eravamo legatissimi! Erano sicuramente per noi un rifugio, le persone alle quali avremmo potuto chiedere ciò che papà o mamma non ci davano: non perché non lo volessero, ma spesso perché non l’avevano! Ci affascinavano per la loro saggezza, la loro esperienza, ma soprattutto per la loro pazienza e per quello che ci insegnavano, frutto dell’età più che della preparazione culturale: nella maggior parte dei casi i nonni erano analfabeti, o a stento sapevano leggere o scrivere!

Crescendo, abbiamo cominciato a capire che i nostri mondi erano lontanissimi! E allora pensammo, a torto, di poter fare a meno di loro… 

Nonno Giovannino se ne andò quando io avevo solo undici anni. Sono stato il primo nipote, e sebbene fossi piccolo di lui mi rimangono tanti ricordi, che il tempo non potrà mai cancellare. Lui ne aveva 72, l’età che avrò io il prossimo anno! E siccome ci sentiamo giovani, oggi diremmo che anche lui lo era! Non aveva alcun titolo di studio, tutto quel che aveva imparato lo doveva alla sua acuta intelligenza, così come avveniva un tempo. Da giovane aveva combattuto la prima Guerra Mondiale, e spesso raccontava di quell’inutile sterminio che provocò milioni di vittime. Non fu richiamato nelle successive guerre perchè aveva una famiglia numerosa alla quale doveva pensare, ma non esitò di consegnare alla Patria il suo anello di matrimonio, quando gli venne chiesto! Dedicò la sua vita alla famiglia, al lavoro, e la sua fede in Dio era incrollabile. La processione del Venerdì Santo lo vedeva come battitore della varetta dell’Ultima Cena, quella che apre il corteo, e non mancava una domenica alla messa. 

Aveva festeggiato i suoi 72 anni a Milazzo, il 19 agosto del 1962, a casa mia. Abitavo in via Umberto I da meno di un anno, dopo aver lasciato la casa della Sena, e poichè i balconi della cucina e della camera da pranzo davano su Vico Banditore, ’a Sena arrèti, quel piccolo mondo al quale ancora oggi sono legato era sempre a due passi… Il 19 agosto era domenica, e come al solito lasciò Messina, assieme alla nonna e a mia zia, per pranzare, stare assieme a noi, essere festeggiato. Ma io non ero più il bambino che abitava a San Francesco: avevo già 11 anni, le mie amicizie con altri coetanei, le necessità di svaghi diversi, che proprio la domenica venivano riservati al cinema. E proprio al cinema andai, alla fine del pranzo, come facevo ormai da qualche tempo.

Purtroppo tornando a casa ebbi una sgradita sorpresa. “I nonni sono partiti…”, disse mia mamma. Rimasi deluso perché li avevo salutati solo fugacemente, con un “Ciao, più tardi ci vediamo…”, e mi assalì un senso di tristezza, come se la mia fosse una colpa nei confronti di quei due vecchietti che erano tornati a Messina. Privi di telefono, cui ci era preclusa qualsiasi possibilità di tenerci in contatto e tutto era demandato alle cartoline o alle lettere! Le domeniche successive non vennero a Milazzo, anche perché la frequenza dei viaggi, a causa dell’età, non era più quella dei primi anni.

Il 12 settembre, mercoledì, papà tornò improvvisamente dal lavoro dicendo che avremmo dovuto andare a Messina. Ci avrebbe accompagnati con l’auto il signor Mazzù. Presi posto avanti perché soffrivo il mal d’auto, da bambino; dietro c’erano papà e mamma.

Fu un viaggio stranamente silenzioso. Mentre la macchina affrontava i tornanti dei Colli Sarrizzo, guardavo la strada per non costringere l’autista a soste forzate. Arrivati a Messina, posteggiammo a pochi metri dal negozio che il nonno gestiva, in via Felice Bisazza, adiacente alla Chiesa dei Salesiani, e nel quale vendeva pellami e articoli per calzature. Nonostante la sua età, continuava ad esercitare il mestiere di calzolaio, riparando scarpe o fabbricandole a mano.

Scesi dall’auto, captai solo che mamma chiese ad un mio zio, che ci venne incontro, notizie di “papà”. “E’ ancora là, non l’abbiamo potuto portare a casa…” rispose lui, con gli occhi arrossati. Entrati, trovai nonno Giovannino immobile su un improvvisato letto, nel retrobottega: lo aveva stroncato un infarto mentre, come ogni giorno, era seduto al deschetto per riparare le scarpe che i clienti gli avevano portato. Scoppiai a piangere, inconsolabile: oltre al dolore per la perdita improvvisa, anche per il rimorso per non averlo potuto salutare, quel 19 agosto. E che mi sarei portato dietro, per tanti anni ancora.

Il 12 settembre del 2012, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, era accanto a me, ne sono sicuro, quando entrai in sala operatoria per sottopormi ad un delicato intervento per la rimozione di un tumore maligno. Da allora quel senso di colpa che mi aveva accompagnato per cinquant’anni è scomparso: mi ero addormentato per l’anestesia. Non so cosa sia successo, ma è come se mio nonno Giovannino mi avesse tranquillizzato, così come faceva quando ero piccolo, prima che mi addormentassi…

Oggi è il sessantesimo anno della partenza improvvisa di Nonno Giovannino. Non ha avuto la possibilità di tenere in braccio tanti altri figli dei suoi figli, ma con questa breve descrizione del suo profilo, che condivido con i miei fratelli e i miei cugini, voglio ricordare la figura di un uomo buono, generoso, umile ma soprattutto onesto e altruista. A loro rivolgo un invito: ricordarlo nelle loro preghiere, almeno una volta ogni tanto… anche se non lo hanno conosciuto… Lui ne sarà contento, credetemi.

 
 
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