La “Sena” è piazza Perdichizzi, con i suoi vicoli, nei quali, quando abitavo io, il movimento veicolare era inesistente. In essa vissero, e si conoscevano perfettamente, decine di famiglie, fiere della loro comune appartenenza ad una parte di Milazzo che non era un rione, né tanto meno una contrada o una frazione: costoro erano della Sena e basta!
Nella Sena crebbero e giocarono, liberi da condizionamenti e padroni indiscussi del territorio, anche decine e decine di ragazzi, appartenenti ad altre generazioni; non importava quale fosse la loro età, perché il più grande e il più piccolo erano coetanei.
La Sena era viva. Viva la rendevano il vociare, gli schiamazzi, le grida di gioia, quando si giungeva primi in una corsa, percorrendo il vico Banditore, dove gli ostacoli erano qualche anziano che, seduto sull’uscio, si appisolava; la biancheria stesa ad asciugare; il braciere che si accendeva per riscaldare le fredde serate invernali, e nel quale si buttavano, per diffondere profumo all’interno della casa, bucce di agrumi. Viva la rendevano anche l’esultanza dei ragazzi quando un pallone si infilava alle spalle dell’improvvisato portiere, durante interminabili incontri di calcio, in cui tutti inseguivano la palla: due sassi delimitavano la porta, ed era un dilemma capire se la squadra avesse segnato o se la palla fosse andata a colpire un palo o una traversa inesistenti! Il tiro che non riusciva ad essere parato, per la statura del portiere, veniva dichiarato alto, ma prima di giungere a questa determinazione o all’altra, completamente opposta, ci voleva sempre la buona volontà dei giocatori. Piccoli diverbi, ma alla fine prevaleva la comprensione.
Ma la Sena non era solo di chi ci abitava. Si ritenevano della Sena anche i ragazzi della via Cumbo Borgia, quelli della via Umberto I, i cui balconi o le porte secondarie si affacciavano su di essa, gli altri della via Nino Ryolo, che all’epoca veniva chiamata “vinedda ’Ddulurata”. L’avrebbero voluta tutta per loro anche quelli che abitavano nei Casali, nella parte alta di Via Umberto I, verso Piazza Roma, e nella via del Sole, ma a costoro veniva impedito persino l’accesso, e per difenderla dagli “invasori” spesso e volentieri si ingaggiavano lunghe battaglie, che si risolvevano con qualche sassaiola e inseguimenti con bastoni e fionde, che stabilivano quale rione avesse vinto. Spesso, grazie anche all’intervento di ragazzi più grandi ai quali spettava il comando delle operazioni di attacco o di difesa!
Per i ragazzi di ieri, la Sena era immensa! Tale non si è presentata ai nostri occhi ieri sera, durante la nostra riunione dopo più di sessant’anni. Una riunione nata per caso, organizzata in pochi giorni, rimandata per … motivi di salute e, finalmente, andata a buon fine.
Abbiamo rivisto una Sena diversa perché siamo andati tutti ad abitare altrove.
Abbiamo cercato di ricordare l’entusiasmo e la vitalità dei suoi abitanti, in una calda serata di settembre. Non c’era più la fontana, alla quale, chiedendo permesso alle donne che lavavano la biancheria, andavamo a dissetarci più volte nel corso della giornata, durante le pause dei giochi. Incuranti di chi ci diceva di non bere perché eravamo sudati e che avremmo potuto rimediare una polmonite, malattia molto temuta all’epoca.
Adesso è una Sena ristrutturata, diventata una piazza, al cui centro sono stai piantati tre alberi che non danno alcuna ombra! Lungo i due lati che sono l’ideale continuazione di vico Amato e vico Sena, le catene impediscono l’accesso alle auto e ai motoveicoli. Ma anche alle persone!
Noi che nella Sena non viviamo più l’abbiamo rivista con gli occhi di una volta, e l’avremmo voluta come allora: piena di vitalità, di bambini che corrono, di mamme che chiamano, di ragazze in età da marito affaccendate nei servizi domestici, di padri che tornano stanchi dal lavoro… di vecchi, perché così venivano chiamati allora, che stavano davanti all’uscio, avvolti in uno scialle durante le serate invernali, o che reggevano con le loro mani quelle dei nipotini che muovevano i primi passi, certi che prima o poi, una volta che sarebbero stati in grado di camminare, non avrebbero avuto più la possibilità di fermarli, rapiti anche loro da quel vortice, quel movimento incessante che, ieri, vivevano tutti…
E’ stato bello rivederci dopo tantissimi anni! Non riporto i nomi dei presenti: però un ricordo è andato agli assenti, partiti per altri lidi, purtroppo; e a coloro che non sono potuti essere dei nostri, per evidenti motivi di salute.
Il “Tu chi sei?” ha animato l’incontro, ed era naturale che quei ragazzi di ieri facessero, tutti indistintamente, qualche cambiamento fisico in lunghissimi anni. Si erano lasciati bambini, ma si sono subito riconosciuti; e si sono guardati ripetutamente attorno, individuando quelle che erano le loro case, gli abitanti di ieri; hanno guardato i nuovi palazzi, le nuove facciate, le finestre chiuse. Si sono meravigliati per i cambi di destinazione d’uso, perdendosi nei loro ricordi (Mi ricordo che Don Nunzio Maisano dormiva con la porta aperta… ha detto Franco Doddo).
A difesa della Sena, come se nulla fosse cambiato durante il lungo tempo, era rimasta sul lato nord soltanto la vecchia “casazza”, fra il palazzo a tre piani dove abitava il signor Santo Picciolo, e prima ancora c’era l’officina di don Tano Lombardo, e la casa di donna Carmela e don Ciccio Gitto. Nessuno ha mai pensato di costruire. E quella casazza è lo scrigno dei nostri ricordi, dei “come eravamo”. E’ il simbolo di una Sena cambiata, vista con gli occhi dei ragazzi di sessant’anni fa, che hanno promesso di incontrarsi ancora una volta. Perchè si sono divertiti emozionandosi.
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