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COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 28.4, a cura di Mariella RAPPAZZO

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Parola del Signore

COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 28 APRILE 2024 (Gv. 15,1-8)

Mentre nel brano di domenica scorsa si parlava di fauna, qui si parla di flora. Lì Gesù si identificava con un pastore, qui si identifica con una pianta. Per trasmettere il suo messaggio il Signore usa un linguaggio semplice e attinge dalla realtà che lo circonda. “Io sono la vite, voi i tralci”. Chi è pratico di campagna conosce l’arbusto della vite. Si tratta di una pianta perenne con tanti tralci che hanno solo la funzione di sviluppare i grappoli di uva cioè i frutti della vite. Se nella simbologia la vite è Gesù e noi i tralci, spetta a ciascuno di noi produrre i “grappoli”. Dalla vite-Gesù ricaviamo la linfa vitale che è il suo messaggio. L’energia che ci dà la sua parola, ci consente di produrre frutti cioè azioni utili a dare vita agli altri. Chi conosce la campagna sa che in un vigneto può capitare che un tralcio, nonostante abbia ricevuto la linfa, non produca frutti. Ecco che il contadino, al tempo opportuno, fa la potatura; una pratica necessaria per purificare e rinvigorire tutta la pianta. Qui Gesù paragona il Padre all’Agricoltore, al contadino. “Il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia”. In passato questa frase è stata interpretata come una sorta di castigo di Dio dato agli uomini. L’esegesi moderna traduce non “taglia” ma “purifica”. Attraverso l’Eucaristia e il Vangelo, Gesù si fa pane, fonte di crescita per tutti e chiede a noi di farci pane, fonte di crescita per gli altri. Però può capitare che un tralcio-individuo, pur nutrendosi di Gesù, pur avendo fede in Lui, non sia costante nello stabilire relazioni benevole ed edificanti con i suoi simili. Ecco che subentra il Padre-Contadino. E’ il Padre a eliminare, a purificare tutte quelle impurità, quei difetti, gli sbagli e le cadute, che ci impediscono di farci donatori di vita per gli altri. Dobbiamo solo lasciare agire il Padre dentro di noi perché, a tempo debito, sarà Lui ad eliminare i nostri limiti e le nostre inadeguatezze. Questo è un messaggio assolutamente incoraggiante. In questi ultimi 40 anni, la maggiore comprensione della Sacra Scrittura, ha consentito di sostituire una visione di colpa e punizione del passato, con una visione positiva di incoraggiamento e sostegno nel presente. Solo se rimaniamo saldamente legati alla vite-Gesù, saremo un tralcio fruttuoso. Non dobbiamo preoccuparci di nulla, solo impegnarci a portare frutto senza avere la pretesa di essere perfetti o di eliminare da soli i difetti e le carenze. A questo ci pensa l’Agricoltore.

MARIELLA RAPPAZZO

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