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IL GIORNO CHE ALMIRANTE ENTRO’ ALLE BOTTEGHE OSCURE

enrico-berlinguer1LA MORTE DI ENRICO BERLINGUER, L’OMAGGIO DEL NEMICO STORICO, LA LEZIONE PER TANTI ITALIANI!

Come sia andata esattamente mai si saprà. La versione più accreditata rivela che Giorgio Almirante arrivò a piazza Venezia accompagnato dal fido Mario De Girolamo, l’autista di sempre. La Fiat 130 grigia si fermò sul lato della basilica di san Marco. Il segretario del Msi, sceso dall’auto, proseguì a piedi. Un’altra campana sostiene che il segretario missino sia sgattaiolato dal suo nuovo (allora) ufficio di via della Scrofa senza dire nulla a nessuno. Neppure alla mitica signora Gila, la segretaria che pure tutto sapeva e tutto custodiva. Comunque, in quella calda giornata di giugno, Almirante si incamminò spedito verso la vicina sede nazionale del Partito comunista italiano. Enrico Berlinguer era deceduto dopo qualche giorno di agonia. Davanti al palazzone di via Botteghe Oscure una folla commossa, crescente, si accalcava in silenzio. Attendeva paziente di poter rendere l’ultimo saluto al segretario del partito. Per questo, probabilmente, pochi fecero caso a quello smilzo signore coi baffetti. Nessuno deve averlo riconosciuto subito. Anche perché nessuno avrebbe potuto immaginare quel che stava accadendo. Che cioè il nemico, il più distante e forse il più odiato avversario politico della sinistra comunista potesse trovarsi lì da solo. Proprio in quel giorno così triste. Quel che è certo è che Almirante riuscì a mettersi in fila. Posizionandosi in una delle code formate da tutti quei militanti che aspettavano mesti di varcare l’enorme portone del Bottegone. Certo è che, improvvisamente, un brusio cominciò a levarsi. E che quegli uomini e quelle donne in attesa volsero lo sguardo verso lui, verso quell’uomo distinto e impassibile. Increduli molti. Stupiti. Quel che accadde dopo è cronaca: l’efficiente servizio d’ordine del Pci di allora, individuato l’ospite inatteso ne diede subito notizia ai dirigenti del partito che stazionavano all’interno. Qualche minuto e Giancarlo Pajetta fendendo la folla raggiunse Almirante e lo invitò a seguirlo. Quattro anni dopo, proprio Pajetta guidò la delegazione del Pci che rese omaggio ai feretri di Almirante e Romualdi. Quel giorno, quel 12 giugno del 1984, il leader del Movimento sociale italiano, il capo dei neofascisti, entrò per la prima ed unica volta nel palazzo della direzione del Pci e chinò la testa dinnanzi al feretro del segretario comunista morto a Padova. Un gesto forte. Di stima. Verso un avversario giudicato irriducibile, ma leale. Perchè leali, seppur su opposte barricate, lo erano stati entrambi. Come si poteva allora. Come si poteva in un tempo macchiato da tanto sangue, da tanto dolore. Quando l’avversario era ancora nemico da abbattere e non solo metaforicamente. Erano ancora gli anni, per capirci, quando sembrava normale e pure intelligente, soprattutto a una borghesia che flirtava con la rivoluzione, recitare come aveva fatto il giovane Benigni la filastrocca sul maledetto Almirante fucilatore e bombarolo. E di rimando era normale urlare ai comunisti che erano tutti e soltanto criminali assassini. Massimo Magliaro, il portavoce storico del leader missino, ha raccontato anni dopo di quando i due si incontrarono la prima volta. Accadde a Montecitorio, all’ultimo piano del palazzo. Lontano da occhi indiscreti. Accade nel biennio 1978/1979 per almeno sei volte, ricordò Magliaro in un’intervista a Repubblica, e sempre di lunedì o venerdi per evitare che altri ne fossero a conoscenza. Il frutto di quegli incontri potè registrarsi negli anni seguenti. Con piccoli, ma significativi atti. “Voglio essere onesto, io non credo che il Pci alimenti il terrorismo…”, spiegò Almirante in una intervista. “Il commosso compianto dei comunisti per il vostro giovanissimo Paolo, vittima di una aggressione disumana” il testo del telegramma inviato da Enrico Berlinguer alla famiglia di Paolo Di Nella ucciso a Roma mentre affiggeva manifesti del Fronte della Gioventù. Almeno sei incontri per conoscersi un po’, per cercare di porre un argine all’odio. Per provare a superare quel lunghissimo dopoguerra che non finiva mai. Colloqui tra due personaggi carismatici eppure assai timidi. Nulla di più si sa. Né sappiamo se a quelli ne seguirono altri, in località diverse. Anche se è assai probabile che ciò sia accaduto. Certamente parlarono di tutto. E magari, per rompere il ghiaccio, anche di pallone. Anche della loro Juve.                           Da www.ilvelino.it

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