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L’ESPLOSIONE E L’INCENDIO ALLA RAFFINERIA: era il 16 dicembre 1970, 50 anni fa.

Una giornata fredda, uguale per tutti gli operai della Raffineria Mediterranea che si stavano preparando a festeggiare il natale; ma per Fortunato Trimboli, per tutti Nato, e Francesco Italiano sarà una giornata diversa, una giornata che ricorderanno per tutta la loro vita. Nato, che ha appena compiuto 27 anni, e Francesco, che di anni ne ha 35, si recano al lavoro quella mattina, come tutte le mattine, dopo aver salutato le loro famiglie; non immaginano che da lì a poche ore sarebbero rimasti coinvolti nel primo più terribile incidente sul posto di lavoro che la storia di Milazzo industriale, anche se giovane, ricordi. Tutto accade proprio nel luogo dove avrebbero dovuto sentirsi tranquilli, perché protetti da dispositivi di sicurezza che l’azienda non faceva mistero di aver disposto secondo le tecnologie più all’avanguardia del momento. Ma così non fu, perché allo 9.30 di quella maledetta mattina si sviluppa un incendio sulla superficie della vasca di raccolta del circuito di raffreddamento dell’acqua industriale. “L’incendio, preceduto da una potente deflagrazione, è causato dai vapori degli idrocarburi riversatisi improvvisamente nel circuito dell’acqua a causa della rottura dei tubi di raffreddamento in un impianto di distillazione”.

Così parla il freddo comunicato stampa che firmò l’ing. Nino Jetti, direttore della Mediterranea del tempo. Spiega con un linguaggio incomprensibile ai comuni mortali, che sarebbero i cittadini ed i parenti delle vittime, ciò che accadde quella terribile mattina. Le sue parole sollevano parecchi dubbi e perplessità, che tali, ahimè, sarebbero rimasti anche dopo l’inchiesta della magistratura. Non furono solo Nato e Francesco a subire gli effetti devastanti dell’incidente, perché altri undici operai furono costretti a ricorrere alle cure dei sanitari che pensarono bene di ricoverarli nell’ospedale di Milazzo, a Vaccarella, sprovvisto fin da allora di un centro per grandi ustionati. Tuttavia le amorevoli ed appropriate cure dell’equipe del prof. Giovanni Pracanica riuscirono ad evitare gravi mutilazioni agli undici operai, ustionati in varie parti del corpo.

Per Nato Trimboli e Francesco Italiano però apparve subito chiaro che bisognava subito ricoverarli in un centro specializzato per la cura delle ustioni gravi e diffuse. Il primo, Trimboli, appariva con la pelle a brandelli per l’80% del corpo; il viso annerito e tumefatto lo rendeva irriconoscibile; lembi di cute penzolavano in varie parti del corpo, e mettevano in mostra le fasce muscolari. Le facce dei medici facevano trasparire la gravità delle condizioni del povero operaio, che ormai non era più vigile. Bisognava accelerare i tempi per il trasferimento a Catania. Allora l’autostrada era in costruzione e non si parlava di elicotteri per portare un malato grave in un altro presidio più attrezzato. A rendere ancora più grave la situazione, il cuore di Fortunato Trimboli non dava alcuna garanzia di potercela fare fino in fondo. In ambulanza con lui parte il dott. Capritti, indimenticato cardiologo milazzese; e a lui Trimboli deve la sua salvezza. Quando, nei pressi di Contesse, il suo cuore sembra voler mollare, Capritti interviene con una terapia idonea che consente al ferito di giungere in discrete condizioni cardiocircolatorie fino all’ospedale di Catania. Trimboli aveva fatto fede al suo nome: Fortunato!

Anche per l’altro, Francesco Italiano, fu necessario il trasporto urgente a Catania presso il centro grandi ustionati; le sue lesioni erano molto gravi: ustioni di 1°, 2° e 3° grado ma diffuse su una superficie corporea più ristretta. Ce la farà come il suo amico. Strappati alla morte, ma con esiti cicatriziali deturpanti, che si porteranno dietro per tutta la vita. Il loro dramma è ancora vivo nella mente e negli occhi di quanti furono testimoni quella mattina del 16 dicembre 1970 e che non dimenticheranno i corpi e l’odore di bruciato che da essi emanava.

Fin qui Attilio Andriolo, nella sua cronaca di un evento drammatico, pubblicato sul Primo supplemento al n° 6 di Giugno 2012 di Terminal che abbiamo voluto riproporre, a distanza di 50 anni da quel terribile 16 dicembre 1970. Ci sono ancora testimoni del fatto, per averlo vissuto in prima persona, per aver prestato i soccorsi, per avere temuto conseguenze più gravi per gli sfortunati protagonisti. Assieme a Nato Trimboli e a Francesco Italiano, la Gazzetta del Sud del tempo riporta i nomi degli altri feriti: Giovanni Finocchiaro, Francesco La Malfa, Domenico Steppa, Francesco Andaloro, Sebastiano Di Mauro, Umberto Savoca, Nicola Guarini, Giuseppe Rapisardi, Mario Consolo, Francesco Formica, Carmelo Arcipa.

Per la Raffineria Mediterranea si trattò solo di un brutto incidente di percorso. Ce ne saranno altri, nel corso della storia di Milazzo industriale, ma da allora sono migliorate le condizioni di sicurezza sul posto di lavoro, i controlli, le garanzie, gli accorgimenti per la tutela dei lavoratori. Si cerca sempre di ottenere il meglio, imparando dagli errori o dalle omissioni, e di questo dobbiamo riconoscere il notevole lavoro fatto dalla Raffineria. Lo stesso non possiamo dire in campo sanitario: l’ospedale di Vaccarella è stato soppiantato da quello di Contrada Grazia. Continua purtroppo la carenza dei reparti e delle strutture, da decenni, in una zona nella quale il lavoro principale è quello industriale.   

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